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29 Ott

Joker: la recensione che non ti aspetti

Dal 3 Ottobre, giorno di uscita nella sale italiane, Joker rappresenta senza dubbio il film più visto, la pellicola che più di ogni altra ha attirato l attenzione di un pubblico di ogni età, con eccezione dei minori ai quali la visione è stata vietata per la violenza e crudeltà di alcune scene. Possiamo dire che è scoppiata una vera e propria mania, o follia (richiamando il personaggio) che ha coinvolto, grazie ad un incessante e pressante passaparola, proprio tutti, anche coloro che non amano il genere, e questo perchè quando ci si trova di fronte ad un film di spessore, probabilmente, i generi spariscono per far posto ad un poco democratico obbligo “morale” di vederlo.

Quel che forse non è giusto, è descriverlo come un capolavoro a prescindere perchè si sa, quando si parla di libri o film, ognuno avrà i suoi occhi per leggere e vedere, i suoi filtri per non soffrire, le sue maschere per nascondersi e le sue chiavi, perversioni o fragilità per entrare o meno sulla scena. Di sicuro (ma è  la mia opinione)  il film va profondamente separato dall’interpretazione di un fenomenale Joaquin Phoenix al quale viene riconosciuto il merito o l’impresa di essere riuscito a partorire un Joker suo, degno di vita, di tormento e di essere sicuramente ricordato, nonostante le versioni precedenti, già famose al limite del possibile, interpretate da altri celebri artisti.

Phoenix è il Joker ma non è il film su Joker, si tratta di due cose completamente diverse e distaccate e questo per sottolineare quanto l’attore sia riuscito a dare vita ad un personaggio così reale nella sua disperazione, solitudine, infelicità, follia che si fa fatica ad inserirlo in uno scenario di pura fantasia. Dopo aver perso quasi 25 Kg per interpretarlo ed aver passato mesi a studiare come ottenere una risata che contenesse insieme le lacrime di un uomo rifiutato da tutti ed i sorrisi di un bambino mai nato, Joaquin Phoenix arriva a mostrare al pubblico gli spigoli interiori di un’anima che ha avuto fame di amore, prima di quelli di un corpo pelle ed ossa e di un viso scavato dalla mancanza di sogni prima che di cibo.

Il film, più di ogni altro, ci mostra il cammino fisico e psicologico che ha portato alla nascita di uno dei killer più spietati e sanguinari di Gotham City e ci fa entrare nelle stanze più buie e fredde dell’anima di una persona ( Arthur Fleck) che ad un certo punto, rifiutato e trattato come un rifiuto dalla società, decide di indossare una maschera per nascondersi da una vita che , paradossalmente, l’aveva condannato ad essere invisibile agli altri se non per essere deriso, umiliato, offeso e preso a calci sia in senso fisico che metaforico, con lividi sul cuore molto più  sanguinanti delle ferite sulla pelle.  E saranno proprio quei lividi che ad un certo punto porteranno ad una necrosi graduale del muscolo emotivo fino alla nascita di un essere totalmente privo di cuore ma , paradossalmente, non di cervello tanto da essere lucido nei suoi deliri che lo porteranno ad uccidere spietatamente solo coloro che nella vita gli avevano fatto del male.

La malattia mentale di Arthur ci pone di fronte ad una persona condannata suo malgrado a ridere, a dispetto dell’inferno che ha dentro, a tal punto da non riuscire a smettere , nè tantomeno avere la possibilità di poter spiegare razionalmente al mondo che quella risata altro non è che il pianto più disperato di un uomo nel quale l’urlo straziante e muto di un bambino abusato si incrocia con l’assordante silenzio di un adulto emarginato. Le allucinazioni che lo portano ad avere una relazione con Sophie, vicina di casa incrociata nell’ascensore del suo squallido palazzo ed ad essere ospite dello spettacolo di Murray Franklin rappresentano quella voglia di far parte del mondo che non lo vuole in cui Arthur si rifugia quando la malattia lo inchioda ad una verità ineluttabile ossia la sua realtà di perdente al quale non sarà mai offerta una seconda possibilità per il semplice fatto di non aver mai avuto diritto neanche alla prima.

Personalmente la scena che ho apprezzato di più è stata quella della danza sulla scalinata, una scala che si trova per davvero nel Bronx, che è stata ribattezzata The Joker stairs ed è diventata meta nell’ultimo periodo di centinaia di curiosi pronti a farsi immortalare in strane pose vestiti da pagliaccio, tanto da spingere gli abitanti di uno dei quartieri più pericolosi della metropoli a pregare tutti di evitare questo pellegrinaggio e girare alla larga. Le danze del Joker sono incantevoli e tristi morti del cigno, un raggio di poesia negli abissi del male oscuro.

Anche i costumi del film seguono questo viaggio all’interno di una mente malata. Si passa da quelli dimessi, anonimi e smorti di Arthur a quelli brillanti, colorati, vistosi del Joker che anche attraverso i suoi abiti oltre che con i suoi capelli verdi, la sua risata solo dipinta e la sua follia omicida grida al mondo che lui esiste nonostante tutto e tutti.

Eppure tirando le somme, il film risulta sfuggente, una sequenza veloce di scene che a volte mancano di un fil rouge e si riconoscono legate tra di loro solo grazie alla presenza del protagonista che alla fine finisce quasi per divorare e distruggere il contorno cinematografico monopolizzando totalmente l’attenzione degli spettatori.

Si esce dal cinema (non vi spoilero il finale) con l’assoluta certezza che Joaquin Phoenix ha superato se stesso  con una interpretazione intensa, vibrante, penetrante tanto da sputarti in faccia la miseria acida di questo mondo, si va via con la consapevolezza che , comunque, l’opera merita di essere vista  ma, nello stesso tempo, chiedendosi storditi e sgomenti se il film vi è veramente piaciuto o meno!!

 

Le foto sono state prese dal web. Il copyright appartiene ai medesimi autori.

 

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Sara Falciani