Vincent Van Gogh: una tavolozza di pensieri follemente colorati
Quando si parla di arte si sa ognuno ha i suoi gusti e mai settore fu più degno del rispetto di quella libertà di sguardi, pensieri ed impulsive sensazioni che incrociandosi portano alcuni a rimanere senza fiato di fronte alle meravigliose e cupe “fotografie” del Caravaggio, altri ad ammirare la dolcezza romantica delle pennellate del Botticelli, altri ancora a fissare incuriositi i corpi, i volti e gli oggetti disegnati attraverso gli occhi “geometrici” di Picasso. Quel che è certo è che di fronte ad un quadro nessuno di noi potrà mai restare muto ed indifferente perchè si sa gli occhi del cuore non si chiudono mai. Se poi un giorno vi capiterà di trovarvi di fronte ad un quadro di Van Gogh allora fate attenzione perchè quella tempesta vorticosa di colori, quel tratteggio così deciso ed irruento che sembra far pulsare il quadro come vene dentro un braccio e quei tubetti strizzati per intero a dar vita a sole , luna e stelle tanto vivi da uscire quasi dalla tela potrebbero anche farvi venire il batticuore.
Su Van Gogh e sulle sue opere moltissimo si è detto e si è scritto e tutti conoscono a grandi linee le caratteristiche del personaggio ma oggi, nel giorno del suo compleanno, noi vogliamo fargli un regalo particolare e parlarvi di lui non partendo dai suoi quadri ma dalle sue parole e dai suoi pensieri, portando così alla luce tanti aspetti sconosciuti di una personalità tanto inquieta quanto affascinante, troppo avanti nel percepire la bellezza e la bruttezza del mondo per essere compreso dai suoi contemporanei “troppo normali”. Se vi aspettate un articolo regolare, lineare e che traccia anno per anno l’esistenza del “rosso pittore” siete sulla strada sbagliata perchè in questa sede è nostra intenzione pennellare notizie poco comuni in stile Van Gogh: vivo, veloce, intensamente profondo.
Vincent Willem Van Gogh nacque il 30 Marzo del 1853 a Zundert, (Paesi Bassi) primo di sei figli e la prima cosa che scopriamo insieme è che in realtà i genitori gli diedero lo stesso nome del suo fratellino Vincent Willem Maria nato morto esattamente un anno prima: 30 Marzo 1852.
Quello che in molti non sanno è che, a differenza di tanti altri nomi celebri da Raffaello a Tiziano, Van Gogh non nasce pittore ma decise di dedicare ufficialmente la sua vita, il suo tempo ed anche la sua salute all’arte piuttosto tardi, all’età di circa 28 anni, anche se fin da bambino si era sempre divertito a disegnare seppur mai incoraggiato dal padre, pastore protestante, e dalla rigida educazione impartitagli. Prima di fare della tavolozza e del pennello la sua ragione di vita l’ inquieto Vincent percorse mille strade e sentieri esistenziali cambiando mestieri che lo portarono a confrontarsi con persone e modi di concepire il lavoro che l’olandese non sempre gradì nè tantomeno accettò avendo un carattere molto poco incline ad uniformarsi sia nella vita che nel contesto artistico con visioni piatte e contaminate dal concetto di massa. A questo riguardo e riferendosi ad una sua opera oggetto di dura critica da parte di un noto pittore del tempo nonchè suo amico fino a quel giorno, van Rappard, lo stesso Van Gogh scrisse:
“Anche se seguito a produrre opere nelle quali si potranno ritrovare difetti, volendole considerare con occhio critico, esse avranno una vita propria e una ragione d’essere che supereranno i loro difetti, soprattutto per coloro che sapranno apprezzarne il carattere e lo spirito. Non mi lascerò incantare facilmente, come si crede, nonostante tutti i miei errori. So perfettamente quale scopo perseguo e sono fermamente convinto di essere, nonostante tutto, sulla buona strada, quando voglio dipingere ciò che sento e sento ciò che dipingo, per preoccuparmi di quello che gli altri dicono di me. Tuttavia, a volte questo mi avvelena la vita, e credo che molto probabilmente più d’uno rimpiangerà un giorno quello che ha detto di me e di avermi ricoperto di ostilità e di indifferenza. Io paro i colpi isolandomi, al punto che non vedo letteralmente più nessuno”
Appare chiaro, tuttavia, leggendo alcune delle sue citazioni la sua consapevolezza di essere condannato, (forse più che dal suo carattere forte ed introverso o dai picchi della sua folle malattia), dalla cecità della società del suo tempo ad una solitudine senza scampo come uomo e come pittore al quale nessuno durante i suoi giorni riconobbe merito, considerazione e rispetto.
Fu proprio lui a questo proposito a scrivere riflessioni come:
“Non vivo per me ma per la generazione che verrà” ;
La lucida consapevolezza del valore della sua arte si accompagnava alla certezza che mai i suoi contemporanei avrebbero riconosciuto né tantomeno compreso quanta bellezza e quali tesori fossero nascosti dietro quelle pennellate brillanti ed energiche:
“Se varrò qualcosa più in là , la valgo anche adesso, perchè il grano è grano anche se i cittadini all’inizio lo scambiavano per erba.
e di fronte all’indifferenza ed a volta all’astio dimostrato nei confronti delle sue opere Vincent era solito trincerarsi dietro una solitudine che era per lui allo stesso tempo prigione e rifugio:
” E’ come avere un gran fuoco nella propria anima e nessuno viene mai a scaldarvisi e di passanti non scorgono che un po’ di fumo, in alto, fuori del camino e poi se ne vanno per la loro strada.
RELIGIONE E COMPASSIONE
L’immagine più sdoganata di Van Gogh è senz’altro quella di una persona taciturna, poco socievole, che alternava periodi di schiva indifferenza a reazioni irruente e violente dovute alla sua malattia che spaventava e teneva spesso lontano gli stessi pittori del suo tempo come Hirschig che ad Anversa dimorava nella sua stessa locanda e di lui scriveva «aveva un’espressione assolutamente folle, con gli occhi infuocati, che non osavo guardare». Eppure dietro un’anima così tormentata nessuno conosce l’uomo ipersensibile e profondamente religioso, cristiano devoto che amava tradurre passi della Bibbia e che aveva chiesto addirittura al padre di fargli tentare l’ingresso alla facoltà di teologia, lo stesso uomo che respinto agli esami di ammissione e dopo essere stato riconosciuto inidoneo all’attività di predicatore si trasferì in due distretti minerari del Belgio aiutando i più poveri tra i minatori, predicando la Bibbia tra di loro, cedendo il suo letto in caso di incidenti, arrivando persino a strapparsi i vestiti per ricavarne garze e bende di soccorso o a vivere in una baracca per fare posto a chi forse non stava poi tanto peggio di lui. In quel periodo Van Gogh si affezionò alla lettura di romanzi popolari che descrivevano la miseria delle realtà industriali arrivando addirittura a percorrere il Belgio per centinaia di Km per conoscerle dal vivo, suscitando preoccupazione e rabbia da parte dei suoi familiari, soprattutto dell’amato fratello Theo che non accettava il suo modo di vivere convinto che le azioni del fratello potessero ulteriormente compromettere il suo debole equilibrio psicofisico.
Vincent a dispetto del suo caratteraccio che tanto intimoriva chi gli stava intorno nascondeva un animo nobile e compassionevole che credeva profondamente nella parola e nelle opere del Signore:
” Il miglior modo per amare Dio è amare molte cose”;
“Non bisogna giudicare il buon Dio da questo mondo perchè è uno schizzo che gli è venuto male”;
Fu proprio Theo a suggerirgli di indirizzare la sua vocazione religiosa ed i suoi propositi umanitari verso l’arte. Vincent accettando di buon grado un consiglio che rispettava pienamente la sua natura libera e creativa decise quindi di recarsi a Bruxelles per iscriversi all’Accademia delle Belle Arti ed acquisire una tecnica pittorica che gli permettesse di perfezionare i tratti e nello stesso tempo incanalare la sua dirompente energia.
VAN GOGH E L’AMORE
Ma parliamo di amore ora. A questo riguardo scopriamo che con le donne e l’amore il pittore ebbe sempre un rapporto tormentato ed un poco torbido, come quando dopo due amori non corrisposti , uno dei quali provato verso una sua cugina, nel 1882 conobbe una ragazza di 30 anni, Sien, alcolizzata, malata di vaiolo, madre di una bambina ed in attesa di altro figlio che si manteneva prostituendosi e che divenne in un primo periodo la sua modella. Dopo il parto Van Gogh ci andò a convivere pensando anche di sposarla per strapparla al suo destino di sofferenza e delusione.
A tale proposito scrivendo al suo amico van Rappard disse: «Quando la terra non viene messa alla prova, non se ne può ottenere nulla. Lei, è stata messa alla prova; di conseguenza trovo più in lei che in tutto un insieme di donne che non siano state messe alla prova dalla vita.»
La frequentazione con Sien lo portò a contrarre la gonorrea ragion per cui Van Gogh fu ricoverato in ospedale preoccupando nuovamente i membri della sua famiglia che appresa la sua volontà di sposare una prostituta avrebbero addirittura voluto farlo internare.
PRIMO INCONTRO CON L’IMPRESSIONISMO
Nel 1886 il suo primo vero incontro con Parigi che al tempo era il centro della cultura mondiale. Un Van Gogh affascinato e motivato scriveva: “non c’è che Parigi. Per quanto difficile possa essere qui la vita, e anche se divenisse peggiore e più dura, l’aria francese libera il cervello e fa bene, un mondo di bene» . Fu proprio nella capitale francese che Van Gogh conobbe e cominciò a frequentare i più grandi esponenti dell’impressionismo anche se inizialmente si dimostrò tutt’altro che interessato alla loro pittura: « Ad Anversa non sapevo nemmeno che cosa fossero gli impressionisti: adesso li ho veduti e pur non facendo ancora parte del loro clan ho molto ammirato alcuni dei loro quadri: un nudo di Degas, un paesaggio di Claude Monet . Da quando ho veduto gli impressionisti, le assicuro che né il suo colore né il mio sono esattamente uguali alle loro teorie. Quando si vedono per la prima volta si rimane delusi: le loro opere sono brutte, disordinate, mal dipinte e mal disegnate, sono povere di colore e addirittura spregevoli. Questa è la mia prima impressione quando sono venuto a Parigi »
In un secondo tempo e dopo una più attenta osservazione delle loro opere Van Gogh ammorbidì il suo giudizio sia sulla corrente che sui suoi esponenti comprendendo la loro originalità ed i loro valori seppur decidendo di non aderire mai all’Impressionismo e preferendo continuare ad esprimere ” ciò che ho nella mente e nel cuore“. E’ fuor di dubbio, tuttavia, che la pittura dell’olandese fu, comunque, influenzata dagli impressionisti e che la sua tavolozza fino ad allora scura e terrosa si arricchì in quel periodo di quei colori vivi e luminosi che consacreranno in futuro il genio della sua arte. Nello stesso tempo e sempre sulla scia impressionista il pittore abbandonò i temi sociali dei suoi dipinti fino ad allora legati maggiormente alla vita dei poveri e dei minatori per far posto ai paesaggi ed al rapporto con quella natura che tanto gli fece compagnia nelle sue giornate solitarie e gli fu cara:
“La natura è il miglior modo per comprendere l’arte, i pittori ci insegnano a vedere”
“Non so nulla con certezza ma la vista delle stelle mi fa sognare”
Spesso Van Gogh dipingeva di notte convinto che anche le tenebre potessero essere fonte di ispirazione:
” A volte penso che la notte sia più viva e ricca di colori del giorno”
in quei casi pare fosse solito incastrare delle candele nel cappello di paglia per contrastare il buio. Scrivendo a suo fratello Theo una volta disse che :”notte stellata sul Rodano è stata dipinta sotto un getto di gas” e più di qualcuno si ricorda di lui seduto in qualche caffè di sera con il suo cappello di paglia e le candele.
A Parigi Van Gogh visse con l’amatissimo fratello Theo, che gestiva una galleria d’arte a Mont Martre, anche se gli scontri tra i due non mancarono a causa anche della malattia mentale e del carattere di Vincent che era, d’altra parte, perfettamente consapevole di non riuscire sempre ad esprimere le sue opinioni in modo pacifico: “ non riesco a starmene tranquillo, le mie idee fanno talmente parte di me stesso che, talora, mi sembra che mi prendano alla gola”
ARLES ED IL RAPPORTO CON GAUGUIN
Nel 1888 attirato dal Mezzogiorno francese dove “c’è più sole e colore” Van Gogh si trasferì ad Arles interrompendo la convivenza con Theo che cominciava a diventare problematica. E fu proprio nella Francia del Sud che cominciò per Vincent un periodo di grandissima ispirazione e produzione pittorica. La natura ed i paesaggi del posto lo ricaricano di energia allontanandolo dagli influssi dell’impressionismo parigino. Completamente rapito dall’atmosfera provenzale Van Gogh dipingeva senza sosta quasi a temere di perdere l’ispirazione o l’attimo fuggente. Della natura sente di non poter fare a meno e seppur provando terrore nel poter allontanarsi da una sua riproduzione verosimile non si pone invece alcun limite nell’uso dei colori che esplodono liberi nelle sue tele. A questo riguardo scrive entusiasta alla sorella Whilelmina: “« La natura di questo paesaggio meridionale non può essere resa con precisione con la tavolozza di un Mauve, per esempio, che appartiene al Nord e che è un maestro e rimane un maestro del grigio. La tavolozza di oggi è assolutamente colorata: celeste, arancione rosa, vermiglio, giallo vivissimo, verde chiaro, il rosso trasparente del vino, violetto. Ma, pur giocando con tutti questi colori, si finisce con il creare la calma, l’armonia »
L’energia e la positività che quei paesaggi trasmettono al suo animo sempre assetato di pace si riflettono sulle sue pennellate tanto che lo stesso pittore scrivendo al collega Bernard confessa di picchiare sulla tela colpi irregolari, lasciando angoli incompiuti, e creando un effetto che sicuramente avrebbe irritato tutti coloro che avevano preconcetti in fatto di tecnica ma il bello della sua personalità stava proprio nel non curarsene : ” «mi è così cara la verità, mi è così caro cercare di fare il vero che credo di preferire rimanere un calzolaio piuttosto che un musicista con i colori.»
E fu proprio ad Arles che Van Gogh fu raggiunto dal suo amico Gauguin. In realtà fu Theo per soddisfare un desiderio del fratello a chiedere a Gauguin di raggiungere Vincent e per convincerlo non solo gli pagò il soggiorno ad Arles ma gli garantì anche l’acquisto di 12 quadri all’anno, somma che Gauguin avrebbe messo da parte per realizzare il suo sogno di partire l’anno dopo per la Martinica. A differenza di Van Gogh l’amico definì Arles “il luogo più sporco del Mezzogiorno» e della Provenza: «Trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone».
Il rapporto tra i due fu tutt’altro che idilliaco e pacifico. Gauguin non sopportava il disordine dell’olandese nè tantomeno il suo modo poco oculato di amministrare i soldi che avevano messo insieme da parte. Van Gogh aveva dell’amico grande considerazione tanto da considerarlo “un artista superiore” , Gauguin, per contro, riteneva Vincent ” un cervello disordinato”. E fu proprio ad Arles in questo periodo di “burrascosa convivenza” che si verificò un incidente molto noto ossia: il taglio dell’orecchio. La tesi più accreditata vuole che proprio dopo una furibonda lite con Gauguin, dopo che entrambi avevano bevuto più di qualche bicchiere Van Gogh avesse rincorso per strada il collega con un rasoio non avendo, tuttavia, il coraggio di colpirlo una volta raggiunto. Questa fu, tuttavia, la goccia che fece traboccare il vaso e spingere Gauguin a lasciare Arles mentre Van Gogh tornato a casa decideva preso dai fumi dell’alcool e della rabbia di tagliarsi il lobo dell’orecchio finendo per donarlo come simpatico cadeau a Rachele , una prostituta che lui e l’amico frequentavano in quel periodo. C’è tuttavia, un’altra tesi a quanto pare meno seguita, secondo la quale Van Gogh non si tagliò di sua sponte l’orecchio ma fu proprio Gauguin, noto schermitore, ad infliggergli la terribile ferita al termine di quella violenta litigata. A tal riguardo vi sveliamo un’altra piccolo curiosità: di sicuro tutti prima o poi avrete visto , almeno sui libri di scuola, l’autoritratto del pittore olandese con la benda sull’orecchio ma forse quel che non sapete è che quel quadro verso la fine degli anni “90 è stato ceduto ad un privato per una cifra compresa tra 80 e 90 milioni di dollari.
Per concludere questo articolo su uno degli artisti più geniali e per questo incompresi di tutti i tempi vi regaliamo ancora qualche curiosa informazione:
Van Gogh dipinse alcune delle sue opere più celebri nei periodi trascorsi nei vari manicomi che periodicamente lo ospitarono. E’ questo il caso di uno dei suoi quadri più intensi che oggi potete ammirare presso il Moma a New York : “Notte stellata” dipinto probabilmente nel Giugno del 1890 e che riproduce il paesaggio che lui poteva ammirare da dietro la finestra barrata del manicomio di Saint Remy de Provence dove fu lo stesso artista a chiedere di essere ricoverato consapevole di non riuscire a tenere a bada la violenza e l’aggressività delle sue reazioni causate dalla malattia, una malattia che a differenza della diagnosi fatta presso la stessa clinica di Saint Remy de Provence non era genericamente epilessia ma un’ “epilessia mentale latente” che procurava al pittore reazioni violente ed allucinazioni alle quali si accompagnarono diversi tentativi di suicidio.
Van Gogh era estremamente critico con le sue tele e proprio parlando di “Notte stellata” manifestò la sua perplessità scrivendo al fratello Theo: “Non mi dice niente”.
La sua energia così impulsiva lo portava a non smettere mai di dipingere e sicuramente è importante sottolineare che più di altri pittori Van Gogh amò realizzare autoritratti. Si conta, addirittura, che tra il 1886 ed il 1889 ne produsse ben 37. In genere amava disegnarsi con la sua tipica barba rossa anche se esiste un’opera meno comune, un autoritratto senza barba che oggi rientra tra i suoi quadri più costosi, venduto a New York per circa 71,5 milioni di dollari.
La produzione pittorica di Van Gogh durò circa 10 anni durante i quali il pittore produsse circa 900 tele, con una media di due quadri a settimana, ma forse nessuno sa che durante la sua vita Vincent riuscì a venderne solamente uno: “La vigna rossa” oggi conservato a Mosca.
L’ultimo quadro dipinto invece è stato molto probabilmente ” Campo di grano con volo di corvi” . E’ un uomo stanco e provato dalla tristezza e dall’isolamento a spruzzare gli ultimi colori su tela. Lui stesso scriveva al fratello : ” Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi casca quasi di mano e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la mia tristezza, l’estrema solitudine. »
La vita di quest’uomo di altri tempi, (forse più futuri rispetto al suo), termina il 29 Luglio del 1890. La tesi ufficiale vuole che Van Gogh si sia sparato un colpo di pistola al cuore nei campi di Auvers riuscendo , tuttavia, a rientrare presso la locanda che lo ospitava dove fu visitato dal Dott. Gachet protagonista di un suo famosissimo ritratto oggi conservato a Parigi presso il museo D’Orsay. Il medico capendo subito la gravità della situazione e consapevole di non poter estrarre la pallottola dal cuore mandò immediatamente a chiamare il fratello Theo in compagnia del quale Vincent trascorse l’ultima giornata del 28 Luglio fumando la sua pipa, chiacchierando e rinnovando ancora una volta che la sua tristezza non avrebbe mai avuto fine. Dopo un eccesso di soffocamento perse i sensi e morì quella notte, 29 Luglio verso le 1.30. Eppure accanto a questa che è la tesi che si trova su tutti i libri esiste una teoria isolata quanto contrastata dagli storici nonché dagli studiosi secondo la quale Van Gogh fu vittima di un colpo di pistola partito accidentalmente da due ragazzi che si divertivano a schernirlo e che, tuttavia, fu lo stesso pittore da una parte depresso e desideroso di morte, d’altra parte per non compromettere il futuro e la libertà di due ragazzi a voler nascondere la verità addossandosi tutte le colpe del folle e disperato gesto, ma ripetiamo questa tesi non è mai stata né provata né mai riconosciuta come verosimile.
Singolare ricordare che il suo amato fratello Theo morirà soli 6 mesi dopo nel Gennaio del 1891 e che ancora oggi le tombe dei due Van Gogh sono posizionate, per volontà della vedova di Theo, una accanto all’altra ad Auvers sur Oise circondati da distese di edera.
Chiudiamo questo tributo al “pittore pazzo” con le sue parole perché le nostre di certo non potrebbero mai arrivare ad esprimere la grandezza di un cuore e di un’anima che ha pagato la sua ipersensibilità con una distanza di sicurezza da ogni tenera carezza:
“A MOMENTI, COME LE ONDE DISPERATE SI INFRANGONO SULLE SCOGLIERE INDIFFERENTI UN DESIDERIO TUMULTUOSO DI ABBRACCIARE QUALCOSA”!
E che questo abbraccio gli arrivi postumo!!