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24 Gen

100 anni senza Modigliani, pittore dal fascino sensibilmente maledetto

il 24 Gennaio 1920 ad appena 36 anni ( ancora da compiere) si spegneva a Parigi colui che oggi è considerato uno dei pittori  più innovativi, contraddittori e conturbanti del 900: Amedeo Modigliani.

Una personalità complessa, un uomo tormentato da una sensibilità rovente che nelle sue manifestazioni esterne sfociava ora in ira tempestosa e colpi di rabbia, ora in una dolcezza toccante verso la sua amata  Jeanne, una corda di violino sempre tesa ma in grado di partorire la musica più penetrante se sfiorata nel modo giusto, una persona considerata già in vita un artista maledetto la cui vera maledizione fu, in  realtà, una salute debole che sin da piccolo tormentò la sua vita costringendolo spesso a pause di lavoro e periodi di riposi forzati fino a condannarlo a morte giovanissimo.

Soprannominato Dedo in famiglia, già la sua nascita fu tutt’altro che un evento comune. Originario di una famiglia inizialmente benestante ma caduta in rovina dopo la bancarotta dell’azienda paterna, pare che al momento del parto la sua casa fu invasa dagli esattori delle tasse e poichè secondo le regole del tempo era vietato portare via tutto ciò che si trovava sul letto di una partoriente, suo padre decise di spostare sul letto quanto più suppellettili possibile mentre la moglie combatteva con i dolori del travaglio.

Appassionato d’arte sin da piccolo, viaggiò molto in tenera età con la mamma (francese) visitando le città più belle e nel 1903 si trasferì a Venezia per frequentare l Accademia delle Belle Arti. Ma è nel 1906 che Modigliani prese la decisione che cambierà per sempre la sua vita: lasciare l’Italia per vivere a Parigi, città, tuttavia, climaticamente poco indicata per le sue condizioni di salute. Qui l’artista entrò in contatto con i nomi più celebri dell’impressionismo, cercò di carpire informazioni, frequentò mostre deciso, tuttavia, a non uniformarsi a nessuna delle correnti del tempo ma ricercando bramosamente un suo stile ed una sua strada. Da qui la scelta di dipingere soprattutto persone, concentrasi sulla figura umana piuttosto che sui paesaggi ( rarissimi nella sua produzione).

Amici, modelle, gente comune sono i protagonisti delle sue tele caratterizzate non dalla riproduzione fedele ma da  colli lunghi e sottili, così come gli ovali dei volti, dai colori sempre molto accesi e soprattutto da uno sguardo che diviene ben presto il tratto distintivo della sua arte. Spesso Modigliani dipingeva gli occhi senza pupille ed in molti si sono chiesti il perchè della sua scelta.

Alla sua amata Jeanne che gli rivolse proprio questa domanda incuriosita anch’ella dall’espressione persa ma nello stesso tempo vigilie di quegli sguardi il pittore livornese rispose:

“Quando conoscerò la tua anima, dipingerò i tuoi occhi.”

Nel ritratto dell’amico pittore Leopold Survage egli lo dipinse addirittura con un occhio “normale” mentre l’altro  era senza pupilla e di fronte ad una domanda di spiegazioni da parte sua così gli rispose:

“Ti ho dipinto così perché con uno guardi il mondo, mentre con l’ altro guardi dentro di te”

Quello sguardo “cieco” è lo strumento attraverso il quale Dedo voleva spingere gli altri a concentrarsi sull’anima, a guardare dentro di sè.

In molti non sanno che prima di dedicarsi alla pittura Modigliani fu estremamente affascinato dalla scultura tanto da cominciare a praticarla, ma ancora una volta la salute dettò le regole del suo destino. Affetto da una patologia polmonare fu costretto ben presto ad abbandonare questa passione a causa dei problemi provocati dalla polvere di gesso delle statue.

Dissoluto, inquieto, ribelle a Parigi visse in maniera povera tanto che spesso fu costretto a tornare a casa in famiglia o a pagarsi da bere realizzando dei piccoli disegni che lui stesso definì “ dessin a boire“.

«Sono Modigliani, ebreo, cinque franchi per un ritratto».

Così si presentava ai vicini di tavolino nei bistrot di Montparnasse.

Non accettò mai la condizione umile delle sue origini che cercò sempre di rinnegare vestendo sempre in modo dignitoso ed indossando sciarpe di seta. Per la sua bellezza ma sopratutto per lo stile che in beffa ai soldi comunque lo contraddistingueva fu soprannominato dagli amici “il principe di Gerusalemme”.

Anche il capitolo sentimentale non fu certo meno tormentato del suo essere.

Ebbe molte amanti e due figli che non volle mai riconoscere ma uno e solo uno fu l’amore della sua vita: Jeanne Hèbuterne, una fanciulla bellissima, dai lunghi capelli color miele soprannominata per la sua avvenenza “noix de coco” (noce di cocco). E’ il 1917 e Modigliani, chiamato in Francia anche Modì, non sa che gli resta ben poco da vivere. L amore per Jeanne è fuoco che illumina, che riscalda, che arde impetuosamente ma che brucia e fa male come i loro litigi che erano frequenti e vulcanici. All’età di soli 20 anni la ragazza partorisce una bimba alla quale fu dato lo stesso nome Jeanne ma che , come gli altri, non fu riconosciuta dal pittore. Nonostante la vita parigina fosse fonte di grande ispirazione la coppia decise ad un certo punto di lasciare la capitale per trasferirsi a Nizza confidando in un clima più mite che potesse alleviare le sofferenze ed i problemi di salute dell’artista italiano.

Purtroppo così non fu ed a soli 36 anni, il 24 Gennaio 1820, Modigliani , a causa di una meningite tubercolare chiuse gli occhi per sempre lasciando amici , parenti e conoscenti orfani di quello che già in molti , sin da allora, avevano riconosciuto come un genio. Al suo funerale in moltissimi tra modelle, pittori, amici, artisti si presentarono per rendergli omaggio e scortare il corteo funebre fin nel cimitero del Père-Lachaise a Parigi.

Sorte molto più sfortunata e solitaria ebbe Jeanne. La ragazza, riportata a casa da una famiglia che non aveva mai accettato la sua storia con l’italiano ritenuto persona poco affidabile e dissoluta, non resse all’enorme dolore per la sua perdita ed il giorno dopo, 25 Gennaio 1920 si suicidò buttandosi dal balcone incinta al nono mese, per raggiungere l unico uomo mai amato.

“Compagna devota fino all’estremo sacrifizio”, recita l’epitaffio.

Sepolta per volere dei suoi cari presso il cimitero parigino di Bagneux, vicino a Parigi solo nel 1930 le sue spoglie si ricongiunsero finalmente con quelle della sua dolce metà.

Chiudiamo questo articolo con una delle lettere spedite al caro amico Oscar Ghia, con le sue parole, parole di un uomo che non è mai stato figlio del suo tempo troppo cieco come i personaggi delle sue tele per scrutarne l’anima.

“Carissimo Oscar,
ho ricevuto la tua e rimpiango straordinariamente di aver perso la prima che dici di avermi mandato. Capisco, e purtroppo più
dal tono stesso della lettera che dalla confessione che mi fai, il tuo dolore e la tua sfiducia. Ne
capisco all’incirca la ragione e, credi, ne ho provato e ne provo un sincero dolore. Non ne conosco ancora le cause precise e occasionali che lo
provocano, ma capisco, per te che sei un’anima
nobile, che devon produrre una triste diminuzione di te stesso, al diritto che tu hai alla gioia e
alla vita per ridurti a quello stato di sfiducia. Io
non so di cosa si tratti, ti ripeto, ma credo che il
miglior rimedio per te sarebbe di mandarti di
qui, dal mio cuore che è gagliardo in questo momento, un soffio di vita, poiché tu sei creato, credimi, per la vita intensa e per la gioia. Noi (scusa
il noi) abbiamo dei diritti diversi dagli altri, perché abbiamo dei bisogni diversi che ci mettono
al disopra – bisogna dirlo e crederlo – della loro
morale. Il tuo dovere è di non consumarti mai
nel sacrificio. Il tuo dovere reale è di salvare il
tuo sogno. La Bellezza ha anche dei doveri dolorosi: creano però i più belli sforzi dell’anima.
Ogni ostacolo sormontato segna un accrescimento della nostra volontà, produce il rinnovamento necessario e progressivo della nostra
aspirazione. Abbi il culto sacro (io lo dico per te… e per me) per tutto ciò che può esaltare ed
eccitare la tua intelligenza. Cerca di provocarli, di perpetrarli, questi stimoli fecondi, perché soli
possono spingere l’intelligenza al suo massimo
potere creatore. Per quei lì noi dobbiamo combattere. Possiamo noi racchiuderli nella cerchia
della loro morale angusta? Affermati e sormontati sempre. L’uomo che dalla sua energia non
sa continuamente sprigionare nuovi desideri e quasi nuovi individui destinati per affermarsi
sempre a abbattere tutto quel che è di vecchio e
di putrido restato, non è un uomo, è un borghese, uno speziale, quel che vuoi. Tu soffri, hai ragione, ma il tuo dolore non può forse divenire per te uno sprone perché tu riesca a rinnovarti
ancora e a portare il tuo sogno più in alto ancora, più forte nel desiderio?
Avresti potuto in questo mese venire a Venezia; però decidi, non ti esaurire, abituati a mettere i tuoi
bisogni estetici al disopra dei doveri sugli uomini.
Se vuoi fuggire da Livorno, io posso fornirti finché posso, manon so se è il
caso. Sarebbe per me una gioia. A ogni modo rispondimi. Da Venezia ho ricevuto gli insegnamenti più
preziosi nella vita; da Venezia sembra di uscirmene adesso come accresciuto
dopo un lavoro. Venezia, la testa di Medusa dagli infiniti serpenti azzurri, occhio glauco immenso in cui l’anima si perde e si esalta.
Venezia, 1905

Modigliani

 

 

 

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Sara Falciani